Cosa mi ha lasciato la Milano Fashion Week 2018?

Tanti punti interrogativi su cui riflettere!

Già, perché al di là dello spettacolo cui ho assistito, davanti e soprattutto dietro le quinte, è stata una settimana della moda molto interessante dal punto di vista dei dibattiti, delle polemiche, dell’ennesimo invito a riflettere sulla moda oggi.

E volendo razionalizzare quanto ho ascoltato durante le sfilate, nei backstage, e letto sui giornali direi che i filoni sono tendenzialmente due:

  • Essenza della moda
  • Qualità della moda

Cosa rappresenta la moda oggi? Quale il suo messaggio?

Qui ovviamente non posso non fare riferimento alla diatriba Gucci/Armani sulle teste di cera.

Questo se volete è l’episodio scatenante, ma già da diverso tempo serpeggia questo malessere…

Armani sostiene, come molti, che la moda deve essere portatrice di un messaggio di stile eleganza, deve essere evocativa, ispirare al bello, elevare lo spirito.

In questo modo rischio di diventare eterea e irraggiungibile, ma in fondo è nata con questo scopo…

Quando la Moda (quella con la A maiuscola) diventa ‘pop’ non è più tendenza, non è più illuminata, anzi è già superata perché mainstream.

E qui credo che si arrivi al punto nodale.

A chi si rivolge la Moda oggi?

Probabilmente Armani ha in mente un pubblico che vuole sognare, che non può permettersi i suoi abiti ma li considera un punto di riferimento.

Esiste ancora questo pubblico?  Ahimè temo di no, a parte sognatrici come me 🙂

Il pubblico di Gucci sono i consumatori del momento, ovvero i giovani. Sono loro che determinano cosa fa tendenza e cosa no perché sono loro i compratori del ‘brand’ grazie alla loro elevata capacità di acquisto.

Gucci ha dimostrato in questo modo di essere molto sul pezzo, molto business oriented.

Ha analizzato il mercato è ha fornito la sua risposta, studiata, ragionata, strategica.

I numeri gli danno ragione e evidenzio che questa operazione molto marketing ha comunque dietro una holding che approccia la moda come un prodotto non creazione artistica.

Anche il tema A-Gender molto spinto da Gucci a volte mi sembra più un’operazione di marketing più che un vero sentimento condiviso…

Armani, che per il momento, è ancora al di fuori delle logiche delle holding resta certamente più fedele all’idea di moda come creazione, unica, per pochi.

Che poi a dirla tutta, non è che Gucci è avulso dal guizzo creativo. Le sue teste mozzate sono state realizzate da Makinarium, una fabbrica romana che si occupa di effetti speciali per Cinecittà e che ha lavorato con registi come Ridley Scott.

E altrettanto creativo è l’allestimento della sua sfilata.

Diciamo che Alessandro Michele, come già Rick Owens, punta molto sulla performance totalizzante, dove l’abito è una delle espressioni artistiche perché musica, scenografia e altre elementi emozionali concorrono a suscitare tutti insieme un’emozione.

La moda di Gucci è cambiata perché in fondo è il pubblico della moda che è cambiato e probabilmente vuole esattamente questo.

Il pubblico che gravita al di fuori di questo mondo probabilmente non sceglie né Gucci, né Armani perché è un pubblico che non ama le firme, il logo e punta all’unicità e alla qualità come espressione del lusso.

E vediamo al secondo filone. La qualità appunto.

Qualità del prodotto, ma anche del messaggio.

Partiamo da quest’ultimo.

Se gli stilisti vogliono usare le passerelle per manifestare loro idee, ideologie, orientamenti è più che legittimo, ma senza la pretesa che vengano condivisi o recepiti ‘as is’ senza un approccio critico del destinatario.

Che la moda sia stata utilizzata dalle attrici come mezzo mediatico per promuovere il movimento #metoo e #timesup è fantastico; non trovo altrettanto efficace gli inni al femminismo urlati su alcuni capi che hanno sfilato nelle ultime collezioni.

Il femminismo va spiegato, soprattutto alle nuove generazioni, va attualizzato per renderlo coerente con il mondo odierno. Evocare vecchi slogan, vecchie icone non so quanto possa servire.

Inoltre si crea una grande confusione…pensate a chi viene bombardato contemporaneamente da  messaggi sul tema genderless, sul femminismo….non tutti hanno la capacità di discernere velocemente, non tutti hanno la maturità per rielaborare questi input, emotivamente e razionalmente. Ordine e pulizia, nei contenuti, come nelle forme.

Forse è  questo che Armani voleva evidenziare.

Parlando di qualità del prodotto non si può non pensare al tema degli sprechi, dell’overdressed.

Ho di recente letto un libro di Elisabeth L. Cline dedicato proprio a questo argomento.

Ogni anno milioni di abiti finiscono nelle discariche.

Abiti che compriamo compulsivamente spinti dal prezzo basso e che hanno anche una bassa qualità..e per questo dopo pochi mesi finiscono nella spazzatura.

Abiti che per finire nelle catene del fast fashion, rispettando i nuovi tempi della moda, vengono prodotti sfruttando spesso donne e bambini sottopagati e schiavizzati.

Molti li buttiamo semplicemente perché ci hanno annoiato, ne abbiamo così tanti!

Il senso del possesso, del sacrificio per comprare qualcosa di buona fattura, il valore del denaro si è perso…

Ma forse qualcosa sta cambiando.

Il libro che vi ho citato è un esempio, ma sapete che Stella McCartnery e vivienne Westwood sono paladine della moda consapevole.

Scegliere meglio, comprare meno e farlo durare” (V. Westwood)

Ho apprezzato molto in questo senso la sfilata di Francesca Liberatore.

Bella per estetica e contenuto.

Ha dato ai suoi abiti una connotazione molto personale (penso ai colori, ai tessuti, ai modelli, lo styling), ma li ha resi anche mezzo di comunicazione.

La sua collezioni Fall Winter 2018 è infatti la testimonianza delle attività svolte con UNIDO durante il suo viaggio in Pakistan.

Il suo lavoro ha sempre rivolto molta attenzione all’uguaglianza di genere e all’empowerment femminile, soprattutto nel mondo del lavoro.

In realtà come il Pakistan e altri paesi limitrofi le donne rappresentano l’80% della forza lavoro in tutta la catena di produzione e distribuzione dell’industria dell’abbigliamento.

Francesca ha raccolto gli spunti dei suoi viaggi in queste zone per disegnare abiti che sono anche una valorizzazione delle donne come elemento trainante per la riduzione della povertà e la promozione dell’imprenditoria femminile, contribuendo quindi al raggiungimento dei Sustainable Development Goals.

A questo punto vi chiederete, ma tu sei dalla parte di Gucci o Armani?

Gucci vive il suo tempo e – al di là del gusto personale – non posso che apprezzare il lavoro che sta facendo perché risponde esattamente alle aspettative del pubblico. Bravissimo in questo. Lui e Marco Bizzari.

Armani rappresenta ciò che per me è l’essenza della Moda.

 

 

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