Dopo le ultime sfilate di Pitti e Milano Moda Uomo ho letto ovunque – a esclusione delle riviste patinate che passavano semplicemente in rassegna le novità delle maison – commenti più meno sconsolati sulle proposte della moda uomo attuale.
Commenti non solo della gente comune, che quasi irrideva alcune mise che si sono viste sfilare sulle passerelle, ma di professionisti del settore, gente che lavora in questo mondo, che ci si sporca le mani e che di fronte ad alcune ‘originalità’ – chiamiamole così – hanno alzato gli occhi al cielo.
La affermazioni più ricorrenti sono state.
‘Ma cosa vogliono comunicare’ – ‘Si vede sempre le stesse cose’ – ‘Di questo passo dove arriveremo’.
E qui si concentra tutta la mia riflessione.
Se è vero che la moda è specchio dei tempi allora i nostri sono davvero molto confusi e soprattutto non è chiaro quali siano gli obiettivi e i messaggi di comunicazione
Da un lato abbiamo la tendenza no gender ormai interpretata da quasi tutti i brand secondo il loro stile e identità, declinata dall’haute couture al fast fashion, quindi già consolidata e, a mio parere, anche superata – come momento mediatico – se pensiamo che di fatto ha iniziato a esistere già dal 2015. Non esistono uomini e donne ma l’individuo che in un gioco di scambio di ruoli sceglie senza condizionamento alcuno come vestirsi.
Ecco quindi sulle pagine delle riviste indipendenti e non servizi editoriali con giovani ragazzi al limite dal sembrare delle drag queen in erba o in procinto di fare outing sulla loro vera sessualità. La donna al contrario diventa una UOMA conscia della sua femminilità che usa come strumento di affermazione con toni duri, risoluti, mannish oppure donna che desidera davvero essere UOMO e quindi si nasconde appunto nel no gender.
Sottolineo che in questo mio articolo non entro nel merito del giudizio. Riporto semplicemente quanto si è visto sulle copertine e online come testimonianza di un trend del momento.
Ma la domanda che mi pongo e vi rivolgo è: quale messaggio ci vuole proporre la moda con questa espressione stilistica? Il mondo deve davvero tendere all’affermazione dell’assenza di genere? Perché? Con quale scopo?
Io non riesco a darmi una risposta convincente. Voi?
E ancora. Sempre con riferimento alla moda uomo si è parlato tanto di dandismo.
L’uomo dandy è l’individuo che oltre ad avere tratti maschili ha anche qualcosa di femminile nella sua fisicità, nel suo comportamento, senza però con questo arrivare a confondere il confine di genere (più o meno).
Ecco allora che vediamo sfilare sui catwalk uomini assolutamente ‘in tiro’, curati in ogni aspetto, dal beauty (con tanto di smalto ai piedi) alla scelta degli abiti e degli accessori. Dei gentleman che non lasciano al caso nessun dettaglio, quasi maniacali.
“Il dandismo consiste in un’ostentazione di eleganza dei modi e nel vestire, caratterizzato da forme di individualismo esasperato, di ironico distacco dalla realtà e di rifiuto nei confronti della mediocrità” (fonte Wikipedia)
La moda quindi, se restiamo fedeli alla descrizione di Wikipedia, ci sta dicendo che l’uomo oggi esprime il suo dissenso nei confronti della società che lo circonda e che lo fa attraverso l’immagine.
Qui se vogliamo il messaggio diventa chiaro in termini speculativi, ma se lo caliamo nella realtà emerge una sorta di elitarismo dell’azione, come fu il dandismo nell’800, ovvero prerogativa di pochi aristocratici che potevano permettersi di vestire in modo elegante e ricercato.
Sì perché la ricchezza dei tessuti (penso al velluto di seta, ai broccati), della manifattura, dei dettagli che abbiamo visto sfilare sulle passerelle delle ultime sfilate sono e restano accessibili a un selezionato gruppo. E qui ci viene in soccorso Charles Baudelaire che spiega meglio cosa sia davvero il dandy.
Il dandismo appare in periodi di transizione in cui la democrazia non è ancora del tutto potente e l’aristocrazia ha appena iniziato a vacillare e cadere. Nei disordini di momenti come questi alcuni uomini socialmente, politicamente e finanziariamente a disagio, ma assolutamente ricchi di un’energia innata, possono concepire l’idea di stabilire un nuovo tipo di aristocrazia, ancora più difficile da abbattere perché basata sulle più preziose e durevoli facoltà e su doni divini che il lavoro e il denaro sono incapaci di donare.
(Il pittore della vita moderna, 1863)
La ricchezza del dandy è innanzitutto il suo intelletto, la sua creatività, le sue passioni, i suoi talenti e l’energia che mette in campo per esprimere tutto questo. Che poi servano anche i soldi per mettere in pratica tutto questo è un dettaglio trascurabile.
Ora mi è tutto più chiaro 🙂
I cicli storici si ripetono ed ecco che oggi nell’epoca della post-truth, delle fake news, dei disordini politici, dell’incertezza economica, ma anche della confusione delle ideologie e dei sentimenti (proprio come ieri) gli individui, gli uomini manifestano il loro malessere interiore sfoderando la parte migliore di sé stessi attraverso la propria immagine. Ci sta!
Qui mi fermo perché ci vorrebbero pagine intere per affrontare questo argomento.
Restiamo stretti sul tema moda e arriviamo invece a Pitti Uomo di giugno 2017.
Abbiamo il dandy, ancora, lo street style, di nuovo, ispirazioni sportswear, ormai un must, la vena ‘army’ che altro?
Ah sì, l’uomo romantico vestito con tessuti floreali e colori pastello. La novità è questa?
Come ho esordito agli inizi, gli addetti ai lavori hanno ribadito la mancanza di originalità, la carenza di idee. Di nomi interessanti ce ne sono stati quest’anno – da J.W. Anderson a Virgil Abloh di Off-White – come l’anno scorso – Raf Simons e Gosha Rubchinskiy – ma ciò che si è visto non ha convinto fino in fondo e soprattutto torniamo alla nostra domanda: cosa ci vogliono comunicare?
L’uomo vestito da boy scout è un eterno Peter Pan?
E quello vestito da Gianburrasca?
L’uomo con la gonna ci sta dicendo che noi donne mettiamo troppo i pantaloni (anche in senso metaforico)?
Sull’ultima copertina di Fashion Magazine c’è a tutta pagina la foto di un modello di Marcelo Burolon County of Milan e la sua immagine è commentata con la frase:
‘Quando ogni
trend è lecito emerge chi osa scommettere con la forza del messaggio’
“Wow” penso e cerco avidamente all’interno l’articolo che mi possa illuminare sul contenuto di questo messaggio. L’articolo c’è e spiega attraverso le interviste ai byuer presenti a Pitti che ciò che è davvero mancato sono state proposte in grado di attrarre, di stimolare la vendita. Paradossalmente la brand experience è stata offerta più dai firme inedite con ‘fame’ di affermazione che da parte dei grandi nomi.
Oggi la gente non acquista solo un capo, ma anche l’emozione che lo accompagna, la storia che racconta e di cui si fa a sua volta portavoce indossandolo.
Torniamo ai dandy quindi? Ovvero all’idea di scegliere un abito in relazione a ciò che vuole esprimere?
La mia personale opinione è che oggi c’è voglia di riappropriarsi di un senso di appartenenza, anche rispetto agli oggetti, ai vestiti nello specifico. Di avere radici. Certezze.
Negli ultimi anni con l’online, l’ecommerce si è esasperato il concetto di usa e getta, o meglio di ‘usa e restituisci’. Non solo, con il fast fashion le persone hanno riempito gli armadi di capi di bassa qualità, pagati poco e durati poco.
Oggi si assiste a un’inversione di tendenza.
Scelgo con cura, cerco la qualità, sono disposto a pagarla di più e per questo sfruttare per più tempo l’indumento. E in tutto questo c’è il gusto di farlo, c’è ritrovata piacevole sensazione di possedere, conservare. L’oggetto torna ad essere pregno di un significato che va oltre la sua funzione, ma diventa anche espressione di sé, del proprio mondo, interiore innanzitutto.