Visual Merchandising, la vetrina racconta una storia. Ce ne parla Francesca Zorzetto

Forse non tutti sanno che insegno allo IED MODA di Milano.

Nello specifico sono docente dei Master rivolti agli studenti stranieri che vengono in Italia per imparare,  ma soprattutto ‘respirare’ come dico sempre io, la moda Made in Italy.

Moda che ha la sua massima espressione nella creazione dello stilista o del brand che la produce, ma che vive e si alimenta nel suo ‘fare sistema’ di tutta una serie di attività specialistiche che contribuiscono alla sua affermazione e divulgazione.

Una di queste aree è il Visual Merchandising.

Naturalmente è un’area che non attiene solo al mondo della moda, ma opera in tutti i settori merceologici. Tuttavia nell’immaginario comune, e riporto qui il risultato di interviste rivolte a gente comune, il visual merchandising sono i ‘gadget’!

Quanto siamo lontani dalla complessità di questa materia e della sua strategicità nel fare il successo di un’azienda, di un marchio.

Il Visual Merchandisig, e qui cito invece la definizione di Wikipedia,  “è l’insieme di operazioni che collocano il prodotto all’interno del punto di vendita in sintonia con le scelte del format (o strategia commerciale) e che riguardano il sistema espositivo, l’ambientazione, l’illuminazione, la grafica”.

Non solo gadget quindi, ma molto molto di più.

Il Visual Merchandisign è la forma che dà sostanza all’anima di un brand.

Per parlarvi di questa importante area di sviluppo del mondo della moda, mi sono rivolta a un’esperta della materia, una professionista che oggi contribuisce alla ‘buona comunicazione’ di moltissime realtà italiane.

Francesca Zorzetto  è una giornalista specializzata, consulente e formatrice di aziende retail che operano nel settore fashion, home e luxury.

Francesca quanto conta oggi la comunicazione del negozio fisico per un brand?

Dal 2008 in poi le aziende hanno spostato risorse ingenti da media tradizionali verso lo store fisico, restyling di spazi esistenti, sperimentazione di nuovi format, nuove aperture di flagshipstore. Lo store fisico è una sorta di pagina pubblicitaria perennemente a disposizione. Dove instaurare una relazione intensa con i consumatori attraverso i sensi. Per questo lo spazio fisico si evolve ma resiste anche alla concorrenza dell’online.

L’ online ‘ruba’ ancora clienti al canale retail o si sta verificando un’inversione di tendenza?

La parola chiave è omnicanalità, l’online cresce ancora sopratutto in Italia e performa meglio in alcuni settori, ma a dispetto di chi parlava di “apocalisse”  del retail fisico  i dati sono confortanti. E in modo empirico, io sono un’esperta di pop up e temporary store, vedo che molte player dell’online, ultima Amazon che per il “black friday” lancia dei pop up store. Come a dire che non solo  il retail fisico deve investire nell’online cogliendone le opportunità di intercettare nuovi consumatori e raggiungere nuovi mercati, ma anche i leader dell’e-commerce escono dalla rete.

Cosa può/deve fare l’offline per riconquistare i clienti. Quali sono gli asset su cui puntare?

Per me le key word sono:

1) marketing esperienziale

2) una vera attenzione al cliente attraverso il servizio

3) La leva del visual merchandising

La comunicazione del negozio è sempre coerente con la Brand Identity del marchio?

Dipende dai marchi e dai settori e la coerenza non dipende dal posizionamento o dalle dimensioni. Puoi trovare una brand identity espressa perfettamente in tutti gli elementi in un negozio indipendente che magari vende biciclette in provincia, come sperimentare una totale distonia cognitiva come consumatore entrando in un tempio del lusso dove hai un alto turnover del personale, che non è formato. Ho l’impressione che a volte ci si dimentichi  del ruolo delle persone nella costruzione della brand identity: immagine, attitudine, professionalità ed entusiasmo sono quello che ci aspettiamo come consumatori. Nel descrivere il percorso visivo del consumatore, io uso la metafora del libro dove la vetrina è la copertina e la cassa il capitolo finale  in mezzo i capitoli e tutta la narrazione deve essere coerente. Ora anche nelle superfici a libero servizio vale questo principio e spesso qui ci sono molte aree di miglioramento.

 Quali sono le nuove frontiere del Visual Merchandising? 

Per me il neuromarketing: quindi verificare quanto i principi della percezione visiva utilizzati finora sono confermati dalle neuroscienze. La possibilità di engagement dato dal digital signage e di verifica dei reali comportamenti d’acquisto del consumatore in store, proprio attraverso i media digitali. Per realizzare allestimenti le possibilità offerte dalla stampa digitale su largo formato  e dalle stampanti 3 D. Un visual merchandiser adesso ha la possibilità di muoversi come Alice nel Paese delle Meraviglie, tanti strumenti, stimoli, opportunità, ma la forza di Alice è la sua curiosità e nella sua si avventura la capacità di prendersi dei rischi. Questo per dire che davanti a tutti li strumenti del mondo o grandi budget se non c’è curiosità, coraggio, creatività e competenza il viaggio finisce presto.

Quali sono i settori più interessanti per svolgere questa professione perché più ricettivi o semplicemente perché hanno un prodotto che si presta a progetti molto creativi.

Io sono molto contenta perchè mi arrivano richiesta da settori diversi , a volte è faticoso ma estremamente stimolante perchè è una ricerca continua di soluzioni diverse . Io consiglio ai miei studenti di guardare oltre il fashion , oppure specializzarsi nell’uomo  , nel bambino. Home   e Food sono settori dove puntare .  Qualsiasi settore che performi dalla bicicletta alle Farmacia. Uno dei miei primi progetti è stato nel settore ceramico, pavimenti e rivestimenti ed ero davvero perplessa , poi ho guardato i dati del settore e mi sono messa a studiare .

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