Intanto definiamo esattamente cosa è considerato vintage e quando è nato.
Vintage (dal francese significa annata, produzione) sono tutti i capi e accessori che hanno più di 20 anni, ovviamente a partire dalla data corrente.
Per intenderci tutto ciò che si trova in giro di Gianfranco Ferré è ormai vintage.
La data di nascita precisa di questo fenomeno non si conosce, ma il periodo storico sì e sono esattamente gli anni ’90 quando prese piede l’abitudine di recuperare capi d’annata per essere mescolati con capi moderni.
Il vintage nacque come reazione alla globalizzazione e alla massificazione dei gusti di quel decennio (e dei precedenti anni ’80), a cui si contrappose una voglia d’unicità con il recupero dei capi d’annata e con i revival eclettici di fine decennio.
In Italia si diffusero negozi come A.N.G.E.L.O. a Lugo di Romagna o Cavalli e Nastri a Milano, specializzati nella vendita di capi d’autore, dal fascino retrò, soprattutto degli anni 50, ’60 e ’70.
Il vintage ha portato ad una serie di riedizioni di capi storici, di varie griffe; ha favorito la diffusione di tendenze etnico, di revival eclettici e di retro-look e di uno stile destrutturato interpretato (Martin Margiela e Antonio Marras), come intervento direttamente su abiti usati.
Nasce come moda, quindi, come tendenza, ma quando nel 2010 inizia la crisi economica che ha toccato più o meno tutti i Paesi del mondo questa tendenza, per molti, è diventata anche necessità.
Oggi il vintage è di fatto espressione della cosiddetta Second Hand Economy.
Una volta erano i poveri a indossare abiti usati, magari del padrone.
Oggi questo fenomeno paradossalmente è alimentato da quella borghesia caduta in disgrazia che negli anni ’80 faceva sfoggio di sé e della sua scalata acquistando le marche e oggi, in preda alla nostalgia ma senza portafoglio, rimane ancorata all’idea che indossare il brand aiuti a mantenere lo standing sociale.
Solo che oggi lo compra usato. E perdonatemi se penso che ci sia dell’ipocrisia dietro lo slogan della sostenibilità che molti predicano per giustificare questo mutamento nei comportamenti d’acquisto.
Compro usato perché faccio una scelta etica. Mah…
Sicuramente c’è una nicchia che con convinzione opta per il vintage come alternativa al mass market, ma queste persone attuano la loro vision su tutti gli ambiti della propria vita, il food, la tipologia di vacanze, il modo di educare i figli.
La maggior parte, credo, segue invece il principio del ‘wanna be’, del ‘vorrei, ma non posso più permettermelo’.
Nulla di male per carità. Se ho sempre desiderato la Birkin e la trovo usata a un buon prezzo è più che legittimo farsi questo regalo, ma diciamolo in modo schietto e sincero.
D’altro canto siamo globalmente tutti più poveri di un decennio fa e quindi niente di male ad ammetterlo.
Pensate a quanto negozi di usato sono nati nelle nostre città, alla riapertura delle sartorie, dei calzolai.
Questo revival è indice di un nuovo approccio delle persone al concetto di possesso.
Stiamo reagendo al consumismo, all’usa e getta, e ci stiamo innamorando nuovamente delle nostre cose, ci ciò che abbiamo acquistato magari con qualche sacrificio.
E così aggiustiamo un paio di scarpe, facciamo stringere quella gonna che ora ci va larga, piuttosto che buttare un cappotto lo doniamo o addirittura lo portiamo in un negozio dell’usato per provare a guadagnarci qualcosa!
Al di là di queste considerazioni il vintage oggi è sicuramente una risorsa.
Intanto, proprio in ottica di sostenibilità, aiuta a rimettere in circolo abiti che altrimenti dovrebbero essere smaltiti (quindi con dei costi) e che generano anche inquinamento, quando ad esempio vengono bruciati.
Se diamo a un abito una seconda possibilità, stiamo contribuendo globalmente a sostenere un approccio green.
Il mondo fashion negli ultimi anni è stato il più colpito dalle polemiche e dagli scandali.
L’inquinamento infatti si manifesta in ogni fase di vita di un prodotto, dalla sua produzione (pensate al processo di tintura) alla logistica, allo smaltimento.
Meno capi si butta sul mercato, meno degrado si genera e alla fine risparmiamo anche.
Oggi si parla addirittura di Vintage 3.0 riferendosi al fenomeno del ‘wardrobe detox’ che rimette in circolo capi d’antan attraverso l’utilizzo di piattaforme specializzate.
Pioniere assoluto è Vestiaire Collective, il marketplace francese di articoli di lusso, paladino di quell’economia circolare che allunga la vita a ogni capo e permette al singolo di guadagnare qualcosa da reinvestire in modo consapevole.
In Italia abbiamo Saldi Privati.
Uno dei punti critici del vintage è la sicurezza dell’autenticità. Se si acquista sulle piattaforme online appena citate la garanzia è al 100%; se invece amate i mercatini delle pulci o dell’antiquariato – e non si è dei veri esperti – la fregatura è dietro l’angolo!
Un altro motivo per cui le persone si stanno affezionando al vintage è la qualità dei capi, che oggi non sempre si trova nelle catene del fast fashion, ma ancora più grave non si trova nei flagship dei grandi brand.
Vi assicuro, e l’ho sperimentato personalmente, che riferendosi a un unico brand il livello di qualità attuale non è minimamente paragonabile con 20 anni fa.
E mi riferisco alla materia prima, quindi i tessuti, alla sua manifattura.
Un’altra ragione che è l’acquisto come investimento: il capo di un couturier difficilmente perderà valore nel tempo. Senza contare, poi, il valore del divertimento, del mesh-up (dífficilissimo) che rende un look unico nel suo genere.
Anche gli stilisti non sono rimasti a guardare questo fenomeno in tremenda espansione.
Si vocifera che il ritorno della Saddle Bag di Dior sia stato in qualche modo spinto dalla richiesta della sua prima versione sulle piattaforme del vintage. Fendi un anno fa ha rispolverato la sua celebre Baguette, poiché aveva avuto un picco vertiginoso di vendite sugli online specializzati nel 2018. Stessa operazione ha fatto Etro con la sua Pegaso.
Senza contare le lungimiranti che si sono accaparrate gli ultimi look per Chanel del Maestro Karl Lagerfeld prima della sua dipartita; e quelle che stanno puntando su Jean Paul Gaultier, da poco ritiratosi dalle scene.
Ultima novità digitale è l’app Byronesque, il servizio di personal shopper specializzato in contemporary e future vintage: in sostanza suggerisce i pezzi attuali da acquistare come investimento sul futuro!
In questo periodo, in cui le giornate di sole preannunciano il prossimo cambio di stagione, provate a fare anche voi detox nel vostro armadio in ottica green.
Come fare?
Vi lascio 5 piccoli suggerimenti
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- Eliminate dall’armadio tutto quello che non mettete da più di 3 anni, selezionate i capi che possono essere venduti in un negozio dell’usato e il resto donatelo ai poveri.
- Provate a capire se un abito che non vi sta più bene, ma a cui siete affezionate può essere rimesso in forma da un sarto, magari apportando qualche piccola modifica che ve lo faccia apparire come nuovo
- Scrivete una wish list dei capi di marca (non più di 3) che vorreste acquistare, datevi un budget, e cercateli sulle piattaforme online.
- Ricordate che basta un dettaglio per rendere unico un outfit, quindi puntate sugli accessori che generalmente costano meno rispetto agli indumenti…Birkin a parte ovviamente!
- Organizzare uno swap party con le vostre amiche o partecipate a quelli organizzati da alcune associazioni, potreste finalmente trovare il pezzo unico che tanto desideravate!
Vi lascio anche qualche indirizzo di Milano e Roma:
MILANO
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- Madame Pauline Vintage Foro Buonaparte, 74, Milano (madamepaulinevintage.it):
uno scrigno di 50 metri quadrati. - Cavalli & Nastri, Via Brera 2, Milano (cavallienastri.com): storico, per comprare e affittare capi e accessori.
- Vintage 20134 Lambrate, via Conte Rosso 22, Milano: vintage dagli anni 20 fino ai 70. La titolare Cecilia sceglie con cura ogni pezzo esposto proveniente da privati.
- Sabrina Manin Vintage Via Cellini 21, Milano (sabrinamanin.it): abiti, gioielli e accessori scelti con amore, come fossero madeleine di Proust.
- Vintage Delirium Franco Jacassi Via Giuseppe Sacchi, 3, Milano (vintagedelirium.it):
un’istituzione, un mondo in cui perdersi. - Mania Vintage Via Fratelli Bronzetti 11, Milano (maniavintage.it): gioielli d’epoca, grandi firme, luxury vintage garantito.
- Delphine Vintage Via Guglielmo Pepe 16: Si parte dall’inizio del ‘900 per arrivare agli anni ’70, con una particolare attenzione agli anni ’30, ’40 e ’50.
- Lipstick Vintage, Corso Garibaldi 71: Grande scelta di abiti da sera e da red carpet.
- Madame Pauline Vintage Foro Buonaparte, 74, Milano (madamepaulinevintage.it):
Roma
• Memory Lane Via Galeazzo Alessi 8, Milano (memorylanevintagemilano.com): ex officina meccanica trasformata in vintage shop.
• Bohémienne Via dei Cappellari 96, Roma: una gemma nascosta a Campo de’ Fiori.
• Charlie Brown Vintage Store Via Carlo Dossi 73, Roma (charliebrownvintagestore.com): pezzi speciali, usati anche dal cinema.